Un quarto d’ora d’anticipo sul domani

Fino a pochi anni fa, la riva destra della Senna, nel cuore di Parigi, era percorsa ogni giorno da oltre 40mila automobili. Il lungo fiume patrimonio dell’umanità Unesco era di fatto un’autostrada urbana: ingorghi durante il giorno, traffico ad alta velocità di sera. Un tappeto d’asfalto che contribuiva all’inquinamento atmosferico della capitale, ben oltre i limiti fissati dall’Unione europea, e causava migliaia di morti premature ogni anno. Poi, nel 2016, la svolta. La strada è stata chiusa al traffico e trasformata in un parco lineare. Oggi, ciclisti e pedoni la attraversano per andare al lavoro o per rilassarsi. La rinascita del lungo Senna è il simbolo di una trasformazione più ampia: la città dei 15 minuti, un concetto che ha ispirato l’intera politica urbana della sindaca Anne Hidalgo e che oggi fa scuola nel mondo.

L’idea nasce dall’intuizione di Carlos Moreno, professore alla Sorbona e consigliere del Comune di Parigi. L’obiettivo? «Riparare le città dominate dall’auto» e riportare la vita urbana a una scala umana, dove ogni abitante possa vivere, lavorare, curarsi, studiare, fare la spesa e svagarsi a non più di 15 minuti a piedi o in bici da casa. Il principio alla base è del fisico italiano Cesare Marchetti, pioniere del “cronourbanismo”. Secondo la costante di Marchetti, gli esseri umani sono disposti a viaggiare in media non più di 30 minuti per soddisfare i propri bisogni quotidiani. Ridurre questo limite a 15 minuti significa ridisegnare lo spazio urbano attorno alla persona, non all’automobile.

«È un’idea semplice, ma potente, perché costruisce un linguaggio comune tra cittadini, urbanisti, amministratori, commercianti. È una traiettoria per cambiare radicalmente il nostro stile di vita urbano», ha spiegato Moreno. Oggi il concetto è diventato un modello globale: «Abbiamo centinaia di città in tutti i continenti che l’hanno adottato». A Barcellona, l’approccio si è tradotto nei “superilles”, isolati urbani pedonalizzati. A Melbourne, il piano prevede di garantire l’accesso a tutti i servizi di base a piedi in ogni quartiere. A Shanghai, si punta a offrire il 99% dei servizi pubblici a 15 minuti a piedi da casa entro il 2035. Bogotá, invece, lo ha inserito nel suo piano regolatore per combattere la congestione automobilistica.

Un quarto d’ora alla volta, si può combattere anche il cambiamento climatico. È quanto sostiene uno studio pubblicato su Nature Cities e condotto dal ricercatore Matteo Bruno insieme ai colleghi del Sony Computer Science Laboratories di Roma. Il lavoro rappresenta il primo tentativo di quantificare su scala globale quanto le città del mondo siano vicine al modello dei 15 minuti. Non solo una strategia urbanistica, ma uno strumento chiave per la transizione ecologica. Il trasporto privato è tra i principali responsabili delle emissioni urbane di CO₂ e una città basata sulla prossimità può ridurre l’uso dell’auto, favorire mobilità dolce e abbassare drasticamente inquinamento e traffico.

I ricercatori hanno analizzato oltre 10mila città nel mondo, misurando l’accessibilità media ai servizi con l’indice di prossimità. I risultati sono chiari: le città più compatte, come Milano, Parigi o Mumbai, offrono migliori condizioni. L’accessibilità è, però, ancora una questione di classe. Per questo, lo studio ha simulato scenari di riorganizzazione dei servizi, dimostrando che anche senza aggiungere nuove infrastrutture si può migliorare radicalmente la vita urbana solo distribuendo meglio presidi già esistenti. In città auto-centriche come Atlanta, ad esempio, sarebbe necessario ricollocare oltre il 70% dei servizi.

Nonostante i benefici documentati – aria più pulita, salute pubblica migliore, economia di quartiere più viva – la città dei 15 minuti è finita nel mirino di teorie del complotto e resistenze ideologiche. In Canada, il commentatore Jordan Peterson l’ha definita una “perversione da burocrati tirannici”. A Oxford, il concetto è stato associato a un presunto “lockdown climatico” e ha scatenato proteste. Secondo un’indagine dell’Institute for Strategic Dialogue, molte di queste teorie provengono da ambienti negazionisti del cambiamento climatico.

L’adozione del modello richiede coinvolgimento pubblico, partecipazione e trasparenza. Come ha ricordato la giornalista Natalie Whittle nel suo saggio dedicato al tema, le rivoluzioni urbane non si impongono dall’alto, ma si costruiscono ascoltando chi abita, lavora e vive la città. Lo dimostrano esperienze virtuose come quelle dei Paesi Bassi, dove la transizione verso una mobilità dolce è nata proprio da una mobilitazione popolare. Allo stesso tempo, sottolinea l’autrice, occorre contrastare ogni tentativo di strumentalizzazione politica.

La soglia di un quarto d’ora, infatti, non è una gabbia cronometrica, ma una guida di principio. La città dei 15 minuti non ha nulla di utopico o ideologico, è una visione concreta, fondata su dati, testata sul campo e già in atto in molte metropoli. È anche un’idea che ha il potere di riavvicinare le persone ai luoghi, restituire tempo e migliorare il benessere collettivo. Uno dei punti chiave dello studio pubblicato su Nature Cities è proprio che non tutti i luoghi sono pronti ad adottare il modello in senso letterale. In alcuni contesti, sarà necessario partire dal garantire pari opportunità, non per forza identiche tempistiche.

Per ripensare le città del futuro ci vorranno ancora anni di programmazione e investimenti. Per abitarle, in modo più giusto e sostenibile, basteranno pochi minuti.

A cura di Gennaro Tortorelli