Metti un po’ di verde sul Pianeta rosso

I futuri coloni di Marte saranno astronauti-agricoltori. E vegetariani. È questo, in estrema sintesi, il messaggio lanciato dal libro “Piantare patate su Marte. Il lungo viaggio dell’agricoltura” che Stefania De Pascale, professoressa ordinaria di orticoltura e floricoltura presso il Dipartimento di agraria dell’Università Federico II di Napoli, ha dato alle stampe per i tipi di Aboca. Un racconto di sfide ed esperimenti sospeso fra terra e spazio.

Dalla germinazione di semi di soia alle “salad machine”: come nasce e come si sviluppa la coltura di piante nelle navicelle spaziali?

«La coltivazione di piante nello spazio nasce da una domanda che sembra quasi fantascienza: le piante possono crescere nello spazio in condizioni di microgravità? Così, negli anni ’60, gli scienziati condussero i primi esperimenti su organismi semplici come le alghe. La stazione spaziale russa Mir includeva un piccolo ambiente di coltivazione chiamato Svet (serra), sviluppato dalla Bulgarian Academy of Sciences.

Nel 2005 con le colleghe Giovanna Aronne e Veronica De Micco abbiamo realizzato il nostro primo esperimento per studiare la germinazione di semi di soia in una situazione di microgravità. L’esperimento, finanziato nell’ambito di un programma education dell’Agenzia Spaziale Europea, si chiamava Saysoy ed è stato lanciato nella missione Foton-M2 dal cosmodromo di Baikonur in Kazakistan.

L’avvio della Stazione spaziale internazionale in orbita bassa terrestre ha segnato una svolta fornendo un laboratorio unico: a bordo della ISS sono stati messi a punto piccoli apparati di crescita definiti in modo informale “salad machine” in quanto il focus delle ricerche è rappresentato da ortaggi a foglia che utilizzano sistemi idroponici o aeroponici e illuminazione artificiale. Molti di questi ortaggi e specie aromatiche sono stati coltivati con successo in ambienti spaziali: ma anche cereali, pomodori nani, barbabietole, ravanelli. Una curiosità: a bordo della ISS sono fiorite perfino le zinnie.

In generale, le condizioni spaziali – microgravità, ambienti chiusi, volumi ridotti – rappresentano sfide notevoli soprattutto per colture come la patata, che sulla Terra si produce in ampi spazi aperti. Per questo lavoriamo sulla selezione delle varietà, del metodo di propagazione e del substrato più adatti nonché sulla definizione delle caratteristiche del “modulo radicale” destinato a ospitare la parte ipogea della pianta».

Quanto è importante e come viene utilizzata nello spazio la risorsa acqua?

«L’acqua rappresenta uno dei beni più preziosi e limitati: ogni litro, e quindi ogni chilogrammo, trasportato nello spazio ha un costo enorme. Per questo la capacità di produrre e riciclare risorse direttamente in loco è una condizione imprescindibile per poter progettare missioni di lunga durata.

Nelle colture idroponiche a ciclo chiuso che utilizziamo, la soluzione nutritiva viene costantemente messa in ricircolo. Inoltre, l’acqua traspirata dalle foglie viene raccolta come condensa. Questo modello di riciclo spinto rappresenta una lezione di efficienza che può ispirare anche la gestione delle risorse idriche sulla Terra.

Studiare le piante in ambienti ostili ci permette di capirne i segreti di tolleranza o resistenza a stress, aprendo la strada allo sviluppo di varietà più resistenti alla siccità, alla salinità e ad altre condizioni avverse. Un vantaggio fondamentale per affrontare le sfide del cambiamento climatico».

E quanto incide invece la luce su questo tipo di colture?

«La luce, come sappiamo, è fondamentale per le piante. Senza luce non c’è fotosintesi quindi non c’è crescita. Nello spazio e, in particolare, sulla Luna e su Marte, la luce solare naturale non è direttamente disponibile per le piante.

Ecco perché si ricorre all’illuminazione artificiale e qui entra in gioco un’innovazione direttamente legata alla ricerca spaziale: i Led specifici, risultato di un brevetto NASA degli anni ’90. Gli scienziati hanno identificato le lunghezze d’onda più efficaci per la fotosintesi e progettato nuovi dispositivi che forniscono alle piante esattamente la luce di cui hanno bisogno, ottimizzando efficienza e resa.

Nelle serre spaziali questi Led possono essere programmati per simulare cicli giorno-notte così da garantire alle colture condizioni ideali in ogni momento. La gestione della luce, dalla durata all’intensità, dallo spettro alla distribuzione, è ormai una delle componenti più ingegnerizzate dell’agricoltura nello spazio e una delle più promettenti per il futuro delle coltivazioni terrestri».

Quali sono i prossimi obiettivi di ricerca in tal senso?

«In questo campo la ricerca sta vivendo una vera rivoluzione grazie alle biotecnologie non Ogm – le cosiddette Tecnologie di evoluzione assistita (Tea) – e all’intelligenza artificiale.

Un esempio di frontiera è il progetto Moonrice coordinato dall’ASI a cui partecipano l’Università Statale di Milano, l’Università La Sapienza di Roma e l’Università Federico II di Napoli. Lo scopo è ottenere varietà di riso capaci di resistere alle condizioni estreme dello spazio tramite una tecnologia di editing genetico che permette di modificare in modo mirato il DNA delle piante rendendole più resistenti alle radiazioni.

Sul fronte dell’automazione, invece, stiamo lavorando sull’integrazione dell’intelligenza artificiale nella gestione dei sistemi di supporto vitale biorigenerativi.

Studiare come coltivare nello spazio ci sta insegnando a coltivare meglio anche sulla Terra».

A cura du Antonia Matarrese