

La Turchia vuole la Luna. Non è bastata l’intesa “storica” tra Etiopia e Somalia ai ferri corti per l’accesso al mar Rosso, mediata dal presidente Recep Tayyip Erdogan, ospite ad Ankara di un vertice con i massimi dirigenti dei due Paesi del Corno d’Africa. Oltre alla geopolitica terrestre, c’è infatti quella spaziale. Prima di ricevere il mese scorso ancora una volta il capo di Stato somalo Hassan Sheikh Mohamud, Erdogan ha dato il via libera alla realizzazione di una base di lancio turca nell’estrema propaggine orientale dell’Africa. Il punto ideale per sparare razzi sull’Oceano Indiano, mandare in orbita satelliti e arrivare pure sulla Luna, come prevede una strategia decennale adottata da Ankara nel 2021.
Ma torniamo sulla Terra, all’intesa raggiunta nella capitale turca, celebrata come “storica” anche se molto difficile da attuare. È l’11 dicembre 2024: separati al centro da Erdogan, al quale ciascuno dà la mano, Mohamud e il primo ministro etiope Abiy Ahmed si impegnano a risolvere una disputa che ha come epicentro il Somaliland, regione di fatto indipendente da 30 anni ma mai riconosciuta come tale dal governo di Mogadiscio, che la considera invece parte integrante del suo territorio. Proprio un memorandum sottoscritto con il Somaliland dall’esecutivo di Addis Abeba è stato all’origine della crisi diplomatica che si prova ora a comporre grazie al ruolo turco. Uno dei fattori scatenanti è la richiesta di accesso al mare da parte dell’Etiopia, gigante da oltre 120 milioni di abitanti che ne è privo dal 1993, quando l’Eritrea divenne indipendente al termine di una guerra di liberazione. Grazie alla mediazione turca, i negoziati tra Addis Abeba e Mogadiscio sono effettivamente cominciati nel febbraio scorso. Non hanno però impresso una svolta e adesso rischia di sbiadire la promessa nero su bianco nella dichiarazione siglata ad Ankara: «Raggiungere accordi commerciali reciprocamente vantaggiosi» che tutelino la sovranità della Somalia e consentano all’Etiopia di «godere di un accesso affidabile, sicuro e sostenibile da e verso il mare».
Il mare è anche l’orizzonte dell’impresa spaziale, strategica per la Turchia forse non meno di quanto lo siano i suoi rapporti politici nel Corno d’Africa, cresciuti negli anni con investimenti, cooperazione allo sviluppo e supporto militare. La piattaforma della Somalia, affacciata sull’Oceano Indiano, può consentire lanci di missili balistici o di razzi spaziali senza che ci sia il rischio di una caduta di detriti su zone abitate. Un altro vantaggio, che riguarda le traiettorie e i consumi di carburante, è la vicinanza all’equatore.
C’è poi il contesto politico e di sicurezza. La Turchia ha firmato contratti per l’esplorazione di giacimenti di gas e petrolio al largo della Somalia e la sua base militare più grande all’estero si trova proprio a Mogadiscio: nella struttura, inaugurata nel 2017, sono stati addestrati migliaia di soldati locali. Un ruolo acquisito anche a spese dell’Italia, ex potenza coloniale in grado di restare un riferimento almeno fino alla caduta del presidente Siad Barre e all’inizio della guerra civile nel 1991, dice a L’Espresso l’attivista Ahmed Faghi Elmi. Radici in Somalia anche se residente ormai da quasi 40 anni a Trieste, dove è anche consigliere di circoscrizione, torna regolarmente nel Paese d’origine per i progetti formativi dell’Associazione nazionale oltre le frontiere. «C’è un po’ di rimpianto perché l’Italia potrebbe fare di più», sottolinea Elmi, condividendo la speranza che l’iniziativa governativa del Piano Mattei possa favorire una maggiore attenzione, investimenti e joint venture. «I nostri giovani ora apprendono lingue differenti, a cominciare da quella della Turchia, che ha preso molto spazio».
Giocando con le parole, arriviamo alle missioni lunari. L’obiettivo è fissato nero su bianco nella strategia adottata da Erdogan. A illustrarne contenuti e prospettive per L’Espresso è Ayhan İncirci, direttore delle Relazioni internazionali dell’Agenzia spaziale turca. La sua premessa sono due successi ottenuti nel 2024, entrambi a partire dalla base di Cape Canaveral, in Florida: la missione di Alper Gezeravci, primo astronauta turco nello spazio, e il lancio in orbita di Türksat 6A, satellite per comunicazioni interamente realizzato da Ankara. L’«autosufficienza» è un punto chiave anche per il programma lunare, sottolinea İncirci: «La Turchia punta sullo sviluppo di capacità proprie nei settori strategici a sostegno della sua influenza globale, pur rimanendo aperta a collaborazioni internazionali». Secondo il direttore, «attraverso alleanze con l’Unione Europea e l’Organizzazione di cooperazione spaziale Asia-Pacifico, il Paese cerca di rafforzare il suo ruolo nelle iniziative regionali, senza partnership dirette con i programmi lunari degli Stati Uniti, della Russia o della Cina».
Le fotografie della Terra scattate dall’astronauta Gezeravci sono fonte di ispirazione per parlare di «impegno per un’esplorazione pacifica» e «missioni congiunte». E İncirci fa riferimento all’Italia, non concorrente ma partner possibile, ad esempio con la società Thales Alenia Space. «Le sue aziende hanno un’ampia esperienza in ambiti come gli habitat lunari e la progettazione di moduli», sottolinea il direttore. «Sforzi congiunti nella tecnologia di atterraggio lunare, nella formazione degli astronauti e nelle apparecchiature scientifiche necessarie consoliderebbero il contributo di Turchia e Italia all’esplorazione e alla scoperta». Si lavora intanto per la base in Somalia: l’alternativa turca alla Cape Canaveral americana e al cosmodromo russo di Bajkonur.
A cura di Vincenzo Giardinia