La rete che esalta il vino italiano

In un settore storicamente individualista come quello vitivinicolo, l’idea di una squadra affiatata, multidisciplinare e distribuita su tutto il territorio nazionale ha il sapore della rivoluzione. È esattamente ciò che rappresenta il Wine Research Team (WRT): una rete di imprese vinicole italiane che dal 2012 investe nella ricerca scientifica, nella sperimentazione applicata e nella sostenibilità, trasformando la vigna in laboratorio e il vino in uno strumento di consapevolezza.

L’idea nasce da Riccardo Cotarella che, nel corso della vendemmia di quello stesso anno, ha coinvolto un nucleo di aziende pronte a mettersi in discussione e dando così vita al brand. A distanza di oltre dieci anni, il WRT conta quasi 40 cantine, piccole, medie e grandi, distribuite dal nord al sud Italia, ciascuna con identità e vocazioni diverse, ma accomunate dalla volontà di innovare partendo dalla terra.

Il Wine Research Team è un cantiere permanente di ricerca applicata. I temi affrontati coprono l’intera filiera: dalla gestione agronomica al processo enologico, dall’analisi dei suoli alla microbiologia, fino all’uso della tecnologia per migliorare efficienza e precisione. Uno dei pilastri del progetto è la viticoltura di precisione: grazie a strumenti di monitoraggio remoto e app dedicate, le aziende facenti parte del progetto sono in grado di ottimizzare irrigazione, trattamenti fitosanitari e gestione del suolo, riducendo sprechi e impatto ambientale.

Un altro fronte strategico riguarda la vinificazione senza solfiti aggiunti. L’obiettivo è ambizioso: preservare la qualità e la longevità del vino attraverso metodi alternativi che evitino l’ossidazione. A questo si affianca l’utilizzo di lieviti indigeni, in grado di valorizzare l’identità microbiologica dei singoli territori, e dunque dei vini.

Dal 2016, il WRT ha avviato anche un’importante attività nel campo della genetica, sotto la guida del prof. Attilio Scienza: lo studio del genoma della vite ha permesso di individuare cloni e portinnesti più resistenti alla siccità e a terreni con alta concentrazione di calcare. Una risposta concreta agli effetti sempre più tangibili del cambiamento climatico.

La forza del progetto sta così nell’ibridazione tra sapere accademico ed esperienza imprenditoriale. Alla guida del progetto, oltre a Cotarella, troviamo figure di rilievo come l’enologo Nicola Biasi e il presidente Vincenzo Tassinari, con un passato tra università e grandi aziende. Questa squadra ha saputo costruire un modello collaborativo raro nel panorama agricolo italiano: in modo che ogni cantina non sia solo fruitrice delle innovazioni, ma parte attiva di una rete che produce dati, sperimenta sul campo e mette in comune conoscenze, errori e soluzioni.

Il WRT è, a tutti gli effetti, un ecosistema di innovazione diffusa, capace di incidere concretamente sulla qualità del vino e sul futuro del comparto.

Il valore strategico di un progetto di questo tipo si coglie ancora di più oggi, in un contesto internazionale sempre più instabile. A partire dal 1° agosto 2025, gli Stati Uniti, tradizionalmente il primo mercato di export per il vino italiano, introdurranno nuove tariffe doganali fino al 30% sui prodotti agroalimentari europei, vino incluso. Una misura che rischia di ridurre significativamente la competitività del Made in Italy, aprendo scenari complessi per le aziende esportatrici.

In questo contesto, disporre di un sistema condiviso di ricerca, tracciabilità e certificazione può fare la differenza: non solo per affrontare nuove barriere commerciali, ma per accedere con autorevolezza a mercati alternativi, dall’Asia al Sud America.

Tra le realtà che hanno scelto di aderire al progetto c’è anche la Cantina La Madeleine, situata tra Narni e Otricoli, in Umbria. Acquistata nel 2008 dalla famiglia D’Alema, l’azienda ha trasformato un vecchio podere agricolo in una cantina moderna e sostenibile, con 13 ettari di vigneto e una produzione che combina eleganza e carattere.

La scelta di entrare nel WRT nasce dalla volontà di coniugare identità territoriale e innovazione scientifica, dando un contributo attivo alla ricerca sul campo. La Madeleine porta con sé un terroir fatto di suoli argillosi e fossili marini, coltivazioni di Ciliegiolo, Pinot Nero, Cabernet Franc, Vermentino e Trebbiano Spoletino, e un approccio produttivo attento alla qualità più che alla quantità.

L’adesione al team di ricerca e sperimentazione rappresenta, dunque, per La Madeleine un passo coerente con la propria identità: non solo produrre vino di qualità, ma contribuire attivamente a una nuova cultura dell’innovazione nel settore agricolo, capace di coniugare territorio, scienza e futuro.

A cura di Fabiola Fiorentino