

Samantha Cristoforetti è stata selezionata come astronauta Esa nel 2009, diventando per tutti AstroSamantha, l’italiana dei record nello Spazio. Ora è a capo del progetto Leo, mentre sogna Artemis e di poter tornare nello Spazio, e magari sulla Luna. L’Espresso l’ha incontrata per approfondire alcuni aspetti che riguardano i progressi e le sfide che accompagnano l’Esa verso la prossima Ministeriale, l’incontro programmatico dei Paesi membri che definirà le strategie dei prossimi anni: dallo sviluppo tecnologico al nuovo approccio commerciale adottato dall’Esa. Uno sguardo lucido e ambizioso sul presente e sul futuro dello Spazio europeo, attraverso le parole di una delle sue protagoniste più autorevoli.
Entro il 2030 è previsto il primo lancio di Leo – Low Earth Orbit – il “suo” progetto che, nell’ottica dell’indipendenza spaziale europea, svilupperà la consegna merci da e verso le stazioni spaziali in orbita bassa. A che punto siamo e quali sono gli elementi di rilievo di questo programma? «Il progetto Leo Cargo Return Service (LCRS) procede in linea con gli obiettivi: due consorzi industriali – uno guidato da Thales Alenia Space Italia, l’altro dalla startup europea The Exploration Company – stanno già lavorando allo sviluppo dei veicoli, con una prima missione dimostrativa prevista entro qualche anno. È un programma che ha molti elementi innovativi. Il primo è tecnologico: per la prima volta l’Europa avrà un veicolo in grado non solo di consegnare carico utile alla Stazione Spaziale Internazionale o a future stazioni commerciali, ma anche di riportarlo intatto a Terra. È una capacità fondamentale – che oggi non abbiamo – e che apre prospettive importanti, dalla logistica spaziale al rientro di esperimenti e materiali, fino a un’eventuale evoluzione verso il trasporto di equipaggio. Il secondo elemento di rilievo è il modello di procurement. Esa non acquista un veicolo, ma stimola la nascita di un servizio. Copre il 60 per cento dei costi, chiedendo alle imprese di co-finanziare il restante 40 per cento – in cambio della libertà di vendere il servizio anche ad altri clienti, pubblici o privati. Questo approccio, ispirato al modello “Commercial Crew” della Nasa, mira a innescare in Europa un circolo virtuoso di investimento, innovazione e concorrenza. Non si tratta solo di costruire un oggetto, ma di rafforzare un ecosistema. È un passo concreto verso l’autonomia europea in orbita bassa – ma anche un banco di prova per un nuovo modo di fare spazio in Europa».
Alla luce dell’allarme lanciato dall’Esa sul divario economico e tecnologico con Stati Uniti e Cina – e in vista della Ministeriale di novembre – quali misure concrete spettano agli Stati membri Esa per aumentare investimenti pubblici e privati e focalizzare le iniziative dello Spazio europeo? «Intanto è importante capire quanto questo divario sia significativo. In Europa gli investimenti pubblici nello spazio sono lo 0,06 per cento del Pil, un decimo di quelli Usa in termini assoluti. Vogliamo parlare di lanci? L’anno scorso solo SpaceX ha effettuato ben oltre cento lanci, in tutta Europa ce ne sono stati tre. E vorrei ricordare che, sebbene in Europa ci siamo ormai dozzine di astronauti, spesso molto noti nei loro Paesi, siamo tutti andati nello Spazio su veicoli russi o americani. Intanto la Cina, con un misto di pianificazione centralizzata e proliferazione di nuovi attori, punta sistematicamente a capacità autonome in tutti i segmenti strategici. L’Europa non ha mai avuto questa ambizione in passato. Ora spero che le cose stiano cambiando. Del resto, lo Spazio è uno di quei settori industriali dove i gap di capacità hanno conseguenze sistemiche sulla competitività economica e sulla sicurezza. Le scelte che i nostri Stati membri prenderanno alla Ministeriale Esa di novembre devono auspicabilmente rispecchiare questa consapevolezza, sia nei numeri che nelle priorità che verranno date».
Esa ha promosso l’European Launcher Challenge nel marzo 2025 nell’ottica di sviluppare vettori europei autonomi. Questi incubatori possono realmente generare una catena di lancio europea sovrana, competitiva a livello internazionale? «La European Launcher Challenge è, a mio avviso, una delle iniziative più interessanti e promettenti degli ultimi anni. Non è solo una gara tecnologica: è un cambio di mentalità. Si chiede agli operatori privati europei di mettersi in gioco, di investire risorse proprie, di rispettare scadenze ravvicinate. In cambio, si offre loro la possibilità concreta di accedere al mercato istituzionale. Così si possono porre le basi per una filiera di lancio europea che non sia solo tecnologicamente autonoma, ma anche economicamente sostenibile e capace di rispondere alle esigenze di lancio nell’era delle mega-costellazioni. Del resto, dobbiamo correre. Oggi SpaceX è un benchmark che mette tutti di fronte a una sfida senza sconti».
A lei, che è stata definita l’astronauta italiana dei record, chiedo: quale ruolo vede per gli astronauti in future missioni robotiche? «Le missioni robotiche sono solitamente intese come dei precursori delle missioni umane. Permettono di testare tecnologie, esplorare il terreno, installare in anticipo infrastrutture di supporto, per esempio per la comunicazione, la navigazione, la generazione di energia. Come poi robot e umani lavoreranno insieme un giorno nello spazio, sulla Luna e magari oltre dipenderà molto da come la robotica si svilupperà nei prossimi anni e decenni qui sulla Terra. E anche da quale valore le generazioni future daranno alla presenza fisica di un essere umano per dare significato e pregnanza a un’esperienza. Quando i primi esseri umani hanno messo piede sulla Luna, tutta l’umanità si è sentita partecipe. Sarà la stessa cosa per gli uomini e le donne del futuro, oppure basterà un’esperienza immersiva a farli sentire “presenti” su Marte, per esempio?».
Con l’impegno europeo per il programma Artemis e le future infrastrutture lunari, come vede la possibilità per un astronauta europeo di camminare sulla Luna entro i prossimi 10-15 anni? «È davvero difficile dare una risposta in questo periodo, in cui l’architettura e i tempi del programma Artemis sono messi in discussione dall’amministrazione americana. Non ha senso fare ipotesi, ne sapremo di più tra qualche mese. La domanda da farsi secondo me è un’altra: abbiamo in Europa l’ambizione di crescere nelle nostre capacità autonome di volo spaziale umano? Sarei certamente felice di vedere un’europea o un europeo sulla Luna entro 10-15 anni, ma mi entusiasmerebbe molto di più vederli arrivare sulla Luna anche qualche anno più tardi, ma su un veicolo europeo».
A cura di Mariapia Ebreo