Marte nel mirino, la Luna si faccia da parte. Nell’ottica di sviluppo spaziale americana, a un certo punto, le missioni per riportare l’uomo sulla Luna – vedi Artemis – sono state quasi relegate al rango di poco utili “processi intermedi”. Non per un capriccio estetico, ma per una precisa strategia esistenziale, tecnologica e persino geopolitica. Nella logica di Elon Musk – che può dire la sua grazie a SpaceX, e per essere stato il primo privato a investire nel settore spaziale statunitense – la colonizzazione di Marte è una necessità per assicurare alla civiltà umana una seconda casa, nel caso in cui la Terra non bastasse più. Marte, con la sua atmosfera rarefatta, una gravità simile e la possibilità – ancora da dimostrare – di estrarre risorse, sembra l’unico obiettivo che valga lo sforzo titanico di costruire una civiltà multiplanetaria.
Il programma Artemis della Nasa, che punta a riportare l’uomo sulla Luna nei prossimi anni, è un progetto che coinvolge anche SpaceX per la creazione del lander che condurrà gli astronauti sulla superficie lunare. Ma Musk è scettico e non lo nasconde, parla chiaramente di Artemis come di «un programma inefficiente», una distrazione dalla vera sfida. La Luna, nella sua visione, non è un trampolino verso Marte, ma una deviazione anche dal punto di vista economico e ingegneristico.
La Nasa continua a lavorare – anche a livello internazionale, come dimostrano le collaborazioni con l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) e l’italiana Asi – con un’impostazione legata a contratti e sistemi di lancio “tradizionali” come lo Space Launch System. Ma Musk immagina – e prova a realizzare – razzi totalmente riutilizzabili, in grado di portare carichi massicci nello Spazio con un drastico taglio dei costi di missione. Il suo Starship è stato progettato proprio per questo: diventare il cargo orbitale per eccellenza, in grado di trasportare fino a 100 tonnellate e supportare lo sviluppo di un’eventuale colonia su Marte. Se Musk l’americano guarda al futuro col suo slancio visionario, l’Europa segue una traiettoria più cauta, ma non meno determinata. Si chiama ExoMars la missione bandiera dell’Esa che è fra i programmi spaziali più ambiziosi degli ultimi decenni. Anche il suo scopo è audace: cercare segni di vita nel sottosuolo marziano grazie al rover Rosalind Franklin, equipaggiato con una trivella che può raggiungere i due metri di profondità. Il cammino di ExoMars è stato però caratterizzato da tanti “stop and go”. Dopo l’iniziale collaborazione con la Nasa, interrotta per motivi di budget, l’Esa si era rivolta alla Russia che avrebbe dovuto fornire il lander Kazachok e il lanciatore Proton-M. Il piano prevedeva una partenza nel 2018, poi posticipata al 2020, ma la pandemia prima e la guerra in Ucraina poi hanno imposto un nuovo stop. La rottura con l’Agenzia russa Roscosmos, formalizzata nel 2022, ha messo in stand by l’intero programma, costringendo l’Europa a riprogettare gran parte della missione.
A cura di Mariapia Ebreo