Avanti, ma piano con l’e-mobility

Il termine “Phase out” (letteralmente “eliminazione graduale”) è entrato improvvisamente nella nostra testa il 10 dicembre 2021, giorno in cui l’Italia si è allineata alla normativa proposta dalla Commissione europea che stabiliva lo stop alla vendita di auto con motore a combustione interna entro il 2035. Tre ministri dell’allora governo Draghi sono stati i firmatari della presa di posizione: Roberto Cingolani (Transizione ecologica), Enrico Giovannini (Infrastrutture e mobilità sostenibile) e Giancarlo Giorgetti (Sviluppo economico). In una nota, che è bene sempre ricordare (ma che forse qualcuno ha già dimenticato) si precisava, però, che occorreva «mettere in campo tutte le soluzioni funzionali alla decarbonizzazione dei trasporti in una logica di neutralità tecnologica valorizzando, pertanto, non solo i veicoli elettrici ma anche le potenzialità dell’idrogeno, nonché riconoscendo – per la transizione – il ruolo imprescindibile dei biocarburanti, in cui l’Italia sta costruendo una filiera domestica all’avanguardia».

Note a parte, quel giorno è iniziata anche per l’Italia una nuova era della quale non tutti avevano capito portata e conseguenze. Il nostro Paese si era, infatti, schierato con l’Europa pensando a una rivoluzione green, legata principalmente a una data di abolizione dei motori termici alimentati a benzina, gasolio, gpl o metano. Una decisione che oggi si sta rivelando più ideologica che frutto di riflessioni e studi industriali, ambientali e di mercato.

Ma andiamo con ordine. Nessun dubbio che la mobilità sostenibile sia un tema centrale per la società moderna. L’impatto del trasporto su ambiente, economia e qualità della vita è significativo, e trovare soluzioni efficaci per rendere gli spostamenti meno inquinanti e più efficienti è una necessità globale. Una storia lunga, entrata nel vivo già negli anni Sessanta e Settanta quando l’inquinamento atmosferico e la congestione urbana sono diventati problemi critici. Si tratta del periodo in cui sono nati i principali movimenti ecologici che hanno portato alle prime normative per la riduzione delle emissioni. Anni che scorrono veloci fino ai Novanta, quando la mobilità sostenibile diventa parte integrante delle politiche urbane e ambientali. Parliamo del decennio della Conferenza di Rio (1992) che ha posto le basi per una maggiore attenzione alla sostenibilità e subito dopo del Protocollo di Kyoto (1997) che ha messo sul tavolo della politica il grande pericolo delle emissioni di gas serra e la conseguente necessità di intervento dei governi. In tutto questo, la tecnologia ha giocato e sta giocando un ruolo primario. Basti pensare soltanto all’introduzione delle auto ibride e poi di quelle totalmente elettriche, al miglioramento delle infrastrutture di ricarica e allo sviluppo di sistemi di trasporto pubblico a basse emissioni che indubbiamente stanno accelerando la transizione verso un modello più sostenibile. Insieme alla digitalizzazione che ha favorito la diffusione di servizi di car sharing e bike sharing, riducendo la necessità di possedere un’auto ma avendo nello stesso tempo la piena disponibilità del suo utilizzo.


Insomma, oggi, la mobilità sostenibile è al centro delle strategie urbane e industriali e sta cambiando le nostre abitudini di spostamento. Le città stanno investendo in reti di trasporto pubblico intelligenti, mentre le aziende sviluppano soluzioni basate su idrogeno, veicoli autonomi e trasporto ad alta velocità ma la strada da percorrere è ancora lunga e tutt’altro che semplice. In Italia, per esempio, il trasporto stradale, secondo i dati forniti dal ministero dell’Ambiente, contribuisce alle emissioni totali di gas serra ancora nella misura del 23% (di cui il 60% circa attribuibile alle autovetture), alle emissioni di ossidi di azoto per circa il 50% e alle emissioni di particolato per circa il 13%. E in Europa? Il tema è affrontato e monitorato da tempo. Nel 2004, la Commissione Europea ha lanciato la European Mobility Week, una campagna per promuovere l’utilizzo della mobilità elettrica attraverso giornate di blocco del traffico e organizzazione di convegni per sensibilizzare i cittadini. Nel frattempo, diverse città del Vecchio Continente hanno sperimentato alcune soluzioni, più o meno interessanti per arginare il problema. Oslo, la capitale della Norvegia, dove quasi il 96% delle nuove auto immatricolate quest’anno sono elettriche, è stata la prima a sostituire i parcheggi lungo le strade con panchine, piste ciclabili, marciapiedi e aree verdi. Nella città fiamminga di Gand, invece, le auto sono state bandite dal centro storico fin dal 1997: qui i visitatori possono spostarsi solo in bicicletta o a piedi. A Friburgo, città universitaria tedesca, sono fortemente privilegiate le biciclette e sono state istituite le prime “zone 30” in cui le auto possono circolare solo a una velocità massima di 30 km/h. Anche Amsterdam sta lavorando per eliminare definitivamente le automobili, almeno quelle con il motore termico. Nella città olandese, entro quest’anno saranno rimossi 11.200 parcheggi e dal 2030 si potrà entrare in città soltanto alla guida di una vettura auto elettrica.

Ma cosa accade nel resto d’Europa? Quali sono le altre città preparate alla rivoluzione della mobilità elettrica? Uno studio realizzato dalla Uswitch, la compagnia britannica specializzata nel confronto prezzi, ha analizzato 33 celebri città d’Europa, tra cui Torino, Milano e Roma per identificare quelle meglio attrezzate per l’e-mobility valutando anche la disposizione delle colonnine elettriche. L’islandese Reykjavik è risultata la prima in classifica, seguita da Glasgow, dove le colonnine gratuite sono addirittura il 92% del totale, e Lisbona che può vantare il prezzo per kWh più basso in Europa. L’Italia, invece, pur facendo della mobilità sostenibile uno dei temi centrali della politica governativa, non è riuscita con nessuna delle città esaminate a entrare nella top ten, confermando il ritardo rispetto agli obiettivi europei. D’altronde, proprio il nostro Paese ha il più alto tasso di motorizzazione in Europa, con 694 auto ogni 1000 abitanti, e quindi una forte dipendenza dall’auto privata, un fattore che contribuisce all’inquinamento e alla congestione urbana, rendendo urgente una transizione verso sistemi di trasporto più ecologici. Secondo il rapporto MobilitAria 2025, la mobilità urbana è tornata ai livelli pre-pandemia. Le emissioni di CO₂ legate ai trasporti continuano ad aumentare, e l’Italia è maglia nera in Europa per decessi prematuri causati da inquinanti atmosferici. Tuttavia, alcune città stanno facendo progressi: a Milano il trasporto pubblico ha superato l’auto privata in termini di utilizzo (48% contro 43%), mentre Bologna ha ridotto del 35% le concentrazioni di biossido di azoto (NO₂) in un solo anno. Cresce quasi ovunque il numero delle auto ibride e non come previsto quello delle elettriche. Comunque, l’innovazione va avanti. Nuove tecnologie, come l’idrogeno e il trasporto ad alta velocità (hyperloop), sono quasi pronte per rivoluzionare ancora il modo in cui ci sposteremo. Fino all’auto autonoma che ridurrà drasticamente il numero dei veicoli in giro per le città. Certo, si tratta di un futuro ancora lontano ma per la mobilità forse l’unico davvero sostenibile.

Articolo a cura di Valerio Berruti