

Tecnologia, sostenibilità e approccio olistico al benessere: sono i tre pilastri su cui si basa la skincare del presente. E del futuro. Cresce il desiderio di usare prodotti organici, con formulazioni waterless quali detergenti viso in polvere e shampoo solidi perché l’acqua è un bene prezioso. Secondo gli ultimi dati forniti da Cosmetica Italia, l’associazione che raggruppa le imprese del settore, aumentano gli acquisti nelle erboristerie e nelle farmacie ma anche piattaforme di e-commerce come Notino registrano un incremento nelle vendite di brand bio e vegani superiore al 60 per cento con preferenze verso oli per capelli, maschere viso e deodoranti.
«La direzione è chiara: una cosmetica dermatologicamente evoluta deve coniugare scienza e sostenibilità, efficacia e rispetto per l’ambiente», spiega Antonino Di Pietro, direttore Istituto Dermoclinico – Milano. «Oggi si parla sempre più di pelle sensibile ma è importante distinguere tra una pelle sensibilizzata, ovvero resa reattiva da fattori esterni come inquinamento o stress, e una pelle che nasce sensibile per predisposizione individuale. A livello di trattamento quotidiano, restano centrali i prodotti ad alta tollerabilità a base di fospidina, complesso naturale di fosfolipidi e glucosamina che aiutano a rafforzare la struttura cellulare e a stimolare la produzione di acido ialuronico endogeno».
La cosiddetta cosmesi ecodermocompatibile sta conquistando i numerosi clienti degli studi di medicina estetica: «Benessere della pelle ma anche benessere del pianeta: questo è il mantra di uomini e donne che hanno imparato a leggere i componenti sulle etichette di sieri, creme, fondotinta. A questo va aggiunto che ormai sempre più aziende hanno reso i packaging biodegradabili. Se sommiamo i due parametri è evidente che anche noi medici estetici prescriviamo prodotti nel rispetto di queste caratteristiche: le aziende produttrici di filler, per esempio, stanno sostituendo le classiche siringhe di acido ialuronico in plastica con quelle di vetro», sottolinea Anadela Serra Visconti, docente alla Scuola Internazionale di Medicina Estetica a Roma.
Ma la qualità dipende dagli ingredienti. «Un cosmetico è più simile a un alimento che a un vestito. È qualcosa che entra nel nostro corpo. Come evitiamo il junk food così dobbiamo imparare ad evitare i junk cosmetics», sostiene Raffaella Gregoris, fondatrice di Bakel, azienda di Udine che collabora con le università di Ferrara e Bologna ed è distribuita in oltre 350 punti vendita. All’insegna del “clean beauty”, nella formulazione dei prodotti sono banditi siliconi, acrilati, coloranti, conservanti e derivati animali. «Le nostre linee cosmetiche (adottate anche dal mondo dell’hȏtellerie di lusso) sono 100 per cento biocompatibili, realizzate con sostanze biodegradabili e hanno confezioni riciclate».
Nasce nel 2022 la campagna “Grow Beautiful” di Davines, gruppo di Parma attivo nel settore della cosmetica professionale con i marchi Davines per l’haircare e [comfort zone] per la skincare, presente in 90 Paesi. L’obiettivo è promuovere consapevolezza sui benefici dell’agricoltura biologica rigenerativa. «Gli ingredienti attivi contenuti nella linea Essential Hair Care vengono coltivati da agricoltori italiani in prima linea per la difesa della biodiversità. Penso al pomodoro Fiaschetto di Brindisi o al cappero di Salina», racconta Mark Giannandrea, general manager Davines. «Quest’anno abbiamo lanciato un burro per capelli, corpo e viso formulato con calendula organica coltivata nel nostro European Regenerative Organic Center (EROC), un sito di 17 ettari di fronte all’azienda».
L’ondata green coinvolge anche la produzione di profumi artigianali. Con molte novità. «Nella nostra azienda di Lodi abbiamo convertito l’intera fornitura di alcool cosmetico – oltre due milioni di litri annui – da mais ungherese a barbabietola da zucchero tedesca, una materia prima con minore impatto idrico, maggiore resa agricola e migliore efficienza di trasformazione. Una scelta sostenibile che non altera costi né performance ma migliora il profilo ambientale dei prodotti», spiega Ambra Martone, vice presidente ICR Industrie Cosmetiche Riunite e co-founder LabSolue. Tutte le bottiglie dei profumi sono sviluppate con il collo a vite per favorirne ricarica, riuso e riciclo.
Per Silvia Martinelli, “naso” di Giardini di Toscana nel Casentino, realtà di antica tradizione che oggi distribuisce tredici eau de parfum dai nomi evocativi quali Bianco Latte e Almafolia, la pianta meno impattante per l’ambiente è il cipresso. «Distilliamo l’essenza in corrente di vapore dai rametti e dalle foglie senza danneggiare l’albero e preferiamo il metodo della CO₂ supercritica che preserva in maniera naturale le sostanze attive», sottolinea Martinelli. Che aggiunge: «La natura ci regala tanto ma, per esempio, un fiore come il lillà non rilascia neppure una goccia di olio, così come il mughetto. Per questo utilizziamo le molecole di sintesi».
A cura di Antonia Matarrese