

Il titolo dice tutto: “La Grande Cecità”. Amitav Ghosh ha scritto questo atto di accusa immaginando il giudizio che i nostri nipoti o pronipoti, in un mondo sconvolto dalla crisi climatica, dominato da siccità e uragani, daranno dell’epoca in cui sapevamo ma non abbiamo agito, avevamo il pericolo davanti agli occhi ma non abbiamo guardato. E si chiede: che giudizio daranno le prossime generazioni degli scrittori e degli artisti che potevano aiutare a capire e si sono voltati dall’altra parte?
Dalla denuncia del grande romanziere indiano è passato quasi un decennio. Qualcosa si è mosso in campo culturale? Secondo lo studio sui 250 film più popolari usciti tra il 2013 e il 2022 – condotto da Matthew Schneider-Mayerson e dal team del Buck Lab for Climate and Environment presso il Colby College – solo nel 12,8% appariva il tema della crisi climatica e solo il 9,6% di questi film ha superato il Climate Reality Check. Lo studio però ha anche evidenziato un aumento nella rappresentazione del cambiamento climatico nei film usciti tra il 2018 e il 2022 rispetto a quelli del periodo 2013-2017 (si passa dall’8% del 2013-17 al 17.6% del 2018-22). Inoltre, è emerso che i film che includevano il cambiamento climatico tendevano a ottenere migliori risultati al botteghino: quelli che soddisfacevano il primo criterio del Climate Reality Check hanno guadagnato in media l’8% in più. Il tema ambientale resta dunque un outsider, ma un outsider che lentamente scala posizioni e conquista punti. Una versione che ha trasportato sullo schermo, con l’audience di una satira efficace, il tema sollevato da Ghosh è “Don’t Look Up”, il film statunitense uscito nel 2021 e diretto da Adam McKay. Racconta la storia di due scienziati che cercano disperatamente, sbeffeggiati dai media e dalla politica, di avvertire l’umanità dell’arrivo imminente di una cometa dall’impatto devastante. La minaccia è lì, evidente, basterebbe alzare lo sguardo per accorgersene, ma non farlo, non guardare in alto, diventa un movimento politico di successo.
“Don’t Look Up” ha registrato oltre 152 milioni di ore di visione su Netflix nella sua prima settimana di uscita, stabilendo un nuovo record settimanale per la piattaforma al momento della sua uscita. E altri film a tema ambientale hanno avuto grande successo. Come “Avatar”, che ha battuto tutti i record di incasso.
Nel 2023 è nato anche Cinema In Verde, il primo festival in Italia dedicato alla narrativa cinematografica ambientale: un appuntamento annuale all’Orto Botanico di Roma, sostenuto dal Comune di Roma, dall’università La Sapienza e dall’agenzia di comunicazione Silverback. Il festival si concentra su film di finzione che esplorano il rapporto tra esseri umani e ambiente, affrontando temi come la crisi climatica, la sostenibilità e la resilienza degli ecosistemi.
«I film che hanno animato le prime due edizioni mostrano che i principali temi ambientali ormai non vengono raccontati solo da documentari: s’intrecciano con la nostra vita quotidiana e sempre più frequentemente la fiction li intercetta», spiega Claudia Campanelli, direttrice artistica di Cinema in Verde. «Ci sono le storie degli amori e delle lotte dei ragazzi della banlieue parigina e quelle dei pescatori maltesi costretti a cedere alle pressioni dei gruppi che aggirano le leggi di tutela del mare, il thriller sulle alghe tossiche che uccidono i runner e gli scontri tra indigeni e garimpeiros nella foresta amazzonica».
Inoltre l’ambiente comincia a guadagnare spazio nel backstage oltre che sugli schermi. Tagliare l’impatto ambientale delle produzioni è uno sforzo che inizia a prendere piede. «C’è ancora molta strada da fare ma la sensibilità ambientale sta crescendo tra le case produttrici», racconta Rossella Rovere, cofounder e Ceo di Zen2030, una società Benefit impegnata ad aiutare la transizione ambientale della filiera dell’audiovisivo. «Il nostro lavoro è dare solidità scientifica all’obiettivo di taglio delle emissioni: si possono ridurre in modo efficace lavorando sulla logistica, sugli allacci alla rete elettrica in sostituzione dei generatori, anche sul catering introducendo una giornata vegetariana nel menu settimanale. All’inizio eravamo visti da molti come un intralcio al lavoro, adesso l’atteggiamento sta cambiando».
Anche in campo editoriale la presenza dei temi ambientali sta trovando nuove strade. I saggi sull’ambiente faticano, ma il termine “cli-fi”, inventato nel 2007 per sintetizzare “climate fiction”, ha guadagnato popolarità. “The Ministry for the Future” di Kim Stanley Robinson e “The Overstory” di Richard Powers sono titoli che hanno avuto un ampio successo. In Italia autori come Paolo Cognetti e Wu Ming 1 stanno integrando sempre più le tematiche ambientali nei loro romanzi.
«E negli ultimi tempi sta emergendo una nuova sensibilità a cui abbiamo provato a dare spazio», aggiunge Carlo Montalbetti, direttore di Comieco, il consorzio per il recupero e riciclo degli imballaggi di carta e cartone. «C’è bisogno ogni tanto di un sorriso, di un momento di relax che non vuol dire distrarsi ma guardare le stesse cose con occhi diversi e forse con un’energia più propositiva. Noi abbiamo fatto una campagna di comunicazione con Giovanni e Giacomo e abbiamo organizzato, assieme ad Area Zelig, l’EcoComedy Show per parlare di ecologia facendo ridere. Funziona».
A cura di Antonio Cianciullo