Musica di vino in Franciacorta

Nessuna tastiera di pianoforte e neppure accordi di chitarra. “Through the Grapevine, in Franciacorta” (Earthphonia III), il nuovo EP di Max Casacci, già chitarrista degli Africa Unite e co-fondatore dei Subsonica, utilizza esclusivamente i suoni del vino legati ai processi di lavorazione: dal legno delle botti al tintinnio dei calici, dal rumore dei trattori al mosto che fermenta. A differenza dei precedenti lavori, Earthphonia e Urban Groovescapes, non nasce da un’intenzione ecologista esplicita.

Come si è materializzato questo progetto natural-musicale?
«Poiché da anni, attraverso l’esperienza Earthphonia – indagine sonora su paesaggi, ambienti, rituali – realizzo musica senza strumenti, vengo spesso coinvolto in iniziative ed eventi che richiedono la trasmutazione in suono di materiali, oggetti e spazi fisici. In questo caso l’azienda Bersi&Serlini per il Festival della Franciacorta ha voluto che i visitatori delle cantine fossero avvolti, oltre che dalle atmosfere, dagli odori, dall’umidità della penombra, anche dai suoni. Una modalità di fruizione della musica inedita tanto per loro quanto per me. Una sfida emozionante immaginata dalla proprietaria della cantina, Chiara Bersi, che vanta un solido passato nel mondo dell’arte contemporanea internazionale».

Cosa ha significato entrare in connessione intima con un mondo lontano dalla sua arte?
«Premetto che non sarò mai abbastanza grato alla musica per avermi fornito in molteplici occasioni un passe-partout capace di connettermi con luoghi, persone, geografie, dimensioni che mai avrei immaginato. Quando mi affaccio a una materia nuova cerco di capire, a caldo, quali siano gli stimoli più forti che ricevo: da quelli comincio a tracciare le linee della storia sonora che proverò a raccontare. In questo caso l’ambiente fisico della cantina mi ha comunicato l’idea di un luogo misterioso in grado di ospitare, in tempi dilatati e nei segreti della sua penombra, magiche trasformazioni contrappuntate dai sapienti gesti umani. Il vino rifermentato ha queste caratteristiche, che racconto attraverso le note e la linea di basso estratte dai calici, dalle bottiglie, dalla ritmica scandita con il rumore delle botti, degli stappi e del “remuage” nel primo brano intitolato “Cantine”. La vendemmia ha invece suggerito un brano “dance” con una cassa in quattro estratta dalla caduta dei grappoli, una linea di basso ottenuta con il rombo di un trattore, non a caso titolo del brano: ho immaginato un moderno e festoso rituale dionisiaco. Con “Cisterne”, invece, sono gli ambienti più industriali della lavorazione del vino a chiudere il cerchio di una narrazione sonora che cerca di mettere in gioco tutti gli aspetti della filiera».

Quanto è stato coinvolto dal paesaggio circostante?
«Il suono catturato tra i filari è la prima cosa che si ascolta, con le cicale pomeridiane. Poi la scena si sposta nel buio della cantina e inizia il viaggio. Dal punto di vista della fruizione musicale, non mi era mai capitato di essere presente nel momento in cui le persone realizzavano che le melodie, le tessiture armoniche e i ritmi che ascoltavano fossero estratte unicamente dalle cose presenti intorno. Il contatto con lo stupore è stata un’esperienza intensa e curiosa al tempo stesso».

Che suono ha il vino? Ci può raccontare alcuni brani?
«Fortunatamente in questo caso avevo a che fare con le bollicine che producono suono. E che suono! Confesso di essermi molto emozionato ascoltando in cuffia il microfono a condensatore infilato nel calice dove era stato appena versato il Franciacorta. Un suono euforizzante e avvolgente che ho trattato con una tecnica di spazializzazione stereofonica particolarmente efficace se ascoltata proprio con le cuffie. Le bollicine, in pratica, girando intorno all’ascoltatore, praticano una sorta di massaggio acustico alla nuca».

In futuro pensa di tornare su questi temi strettamente legati alla natura e ai suoi doni?
«Recentemente il regista teatrale Davide Livermore mi ha coinvolto nello spettacolo “Horcynus Orca” che andrà in scena a giugno al Teatro Antico di Taormina: avrà musiche realizzate esclusivamente con suoni dell’oceano e canti delle orche. Una sfida appassionante che mi permette il confronto con una grande personalità anche e proprio in virtù di un percorso nato con spirito di sperimentazione e urgenza verso le tematiche ambientali. Che non sono esattamente i requisiti indicati per fare musica di successo, oggi».

A cura Di Antona Matarrese