.jpg)
.jpg)
Un boato nella notte, una palla di fuoco che si leva nel cielo. Vetri delle case che tremano a chilometri di distanza. Ma va tutto bene. L’incidente era messo in conto. L’esplosione – l’ennesima – dell’astronave Starship con cui Elon Musk vorrebbe portarci su Marte, avvenuta a giugno scorso nel Texas, dice tanto di quello che è diventata la corsa allo spazio. È “capitalismo spaziale”, ormai, con attori privati che fanno cose impensabili per gli attori pubblici tradizionali: gli Stati, protagonisti assoluti della prima, gloriosa corsa allo spazio tra Stati Uniti e Unione Sovietica.
«La space economy richiede ormai un forte ruolo dei privati, che possono affrontare un rischio maggiore di impresa rispetto al pubblico», spiega Leonella Gori, docente alla Bocconi di Milano. Le esplosioni – tre volte, di recente, per i tentativi falliti di lancio da parte dell’azienda di Musk SpaceX – ne sono solo l’esempio estremo. Attenzione però, «nemmeno il privato da solo riesce ad affrontare la sfida spaziale. Lo stesso Musk è sostenuto da contratti miliardari del governo Usa ed è soggetto ai diktat dell’amministrazione pubblica», aggiunge. Pubblico e privato si sostengono a vicenda, con le risorse, e hanno una dipendenza reciproca. Il punto è emerso con chiarezza quando Musk ha rotto con il presidente Donald Trump: molti analisti l’hanno vista come una cattiva notizia per SpaceX, per la quale i contratti “spaziali” governativi sono necessari. Altrettanti hanno aggiunto che il governo Usa senza Musk non riuscirebbe a sostenere la competizione con la Cina nella corsa verso la nuova colonizzazione spaziale, con satelliti e missioni, sulla Luna e oltre. SpaceX ha accumulato circa 22 miliardi di dollari in contratti governativi diretti fra la Nasa e la Difesa statunitense. Per cosa? Missioni robotiche e con astronauti; lanci di satelliti a uso militare o governativo, per comunicazioni riservate e, potenzialmente, spionaggio.
SpaceX non ha eguali al momento e si è resa per molti aspetti insostituibile. È pioniera della tecnologia che consente di riutilizzare i sistemi di lancio, è forte di ottomila satelliti già nello spazio, in orbita bassa, dove le connessioni sono più efficienti. Nei giorni scorsi è emersa una sua valutazione di 400 miliardi di dollari e ricavi proiettati secondo Musk a 16 miliardi nel 2025, il triplo rispetto al 2022. Il suo principale concorrente è Blue Origin, azienda di un altro super miliardario: Jeff Bezos, il fondatore di Amazon.
«Anche l’attuale tecnologia satellitare, dual use, rende inevitabile l’incrocio di relazioni tra pubblico e privato», dice Gori. «Gli stessi satelliti servono anche per portare la connessione internet in molte aree, per famiglie, aziende, per lo sviluppo di un’agricoltura di precisione, più efficiente e più ecologica», dice. Sono servizi che offre la sussidiaria di SpaceX, Starlink, che nel 2024 ha raddoppiato i ricavi a 2,7 miliardi di dollari, secondo documenti trapelati alla stampa americana. I dati non sono pubblici. Sono aziende che non vanno in borsa e anche questo di per sé è un elemento critico: scarsa trasparenza, in una materia di grande rilevanza.
Dietro i vantaggi di questo matrimonio tra pubblico e privato, «si nascondono zone d’ombra. Primo fra tutti, il rischio di un oligopolio privato nello spazio», dice Alessandro Sannini, a capo della strategia e investment manager del fondo 3iP Space, prima iniziativa nel panorama europeo focalizzata sul settore aerospaziale. «La governance di questa infrastruttura, tutta nelle mani di un unico uomo e del suo consiglio di amministrazione, è una concentrazione di potere unica nella Storia».
Musk è forse il primo essere umano ad avere il controllo unilaterale di una leva che può determinare le sorti di una guerra. Ossia delle connessioni Starlink in Ucraina, necessarie per coordinare le truppe. Il miliardario su X (ex Twitter) ha definito Starlink «la spina dorsale dell’esercito ucraino» e gli analisti militari sono d’accordo. Il miliardario però ha pure ventilato l’ipotesi che, se venisse spento il sistema, «l’intera linea del fronte crollerebbe». È suonata come una minaccia. Soprattutto ha protestato la Polonia, per altro principale finanziatrice dei terminali Starlink in Ucraina. Ha promesso di valutare alternative se SpaceX dovesse dimostrarsi un fornitore «inaffidabile». «Buona fortuna» nel trovare alternative, ha risposto Musk. Sembra di sentire le parole di Giorgia Meloni: «Non ci sono alternative pubbliche», per mettere in sicurezza le comunicazioni critiche dello Stato, ha detto in conferenza stampa a gennaio in merito al dialogo in corso con Starlink per un potenziale contratto da 1,5 miliardi di euro. È «il soggetto più avanzato per fare questo lavoro», ha pure detto Meloni.
Queste vicende «dimostrano quanto lo spazio, oggi, sia terreno di contese che sfuggono al diritto internazionale e al controllo democratico», dice Sannini. Va considerato anche il rischio di saturazione dell’orbita bassa, a opera di satelliti di Musk, della Cina e di altri soggetti tra cui si sta per aggiungere l’Ue. «Si rischia di trasformare lo spazio in un far west di detriti, con impatti drammatici sia per la sicurezza degli asset strategici sia per la sostenibilità di lungo termine delle attività spaziali», aggiunge Sannini.
Avanza un sospetto: che questa dipendenza reciproca tra pubblico e privato, nella nuova corsa allo spazio, sia solo uno specchietto per le allodole. Un paravento rassicurante, ma insufficiente a tutelare davvero gli enormi interessi collettivi in gioco.
A cura di Alessandro Longo