La consapevolezza governa il progresso

L’intelligenza è la capacità di adattarsi al cambiamento». Con queste parole Stephen Hawking ci ha fornito una chiave universale per affrontare le trasformazioni, anche quelle digitali. Per fronteggiare la complessità bisogna dotarsi di uno “sguardo ampio” che integri visione tecnica e riflessione etica, competenza specialistica e capacità di leggere i contesti. In questo senso, la tecnologia smette di essere solo uno strumento e diventa un mezzo per comprendere e ridisegnare il mondo.

Per raccontare questo processo di transizione – che sembra diventato endemico – abbiamo incontrato Paolo Spreafico, director customer engineering Google Cloud per l’Italia, e abbiamo esplorato insieme le direzioni future dell’intelligenza artificiale.

Parlare di Ia significa partire dai primi anni Duemila e dalla capacità di elaborazione dei big data fino ad arrivare ai giorni nostri, con l’intelligenza artificiale generativa. Come possiamo tracciare le prospettive future?
«Pensando a un approccio integrato, uno “stack Ai” capace di coprire ogni esigenza. Nel nostro caso Google Cloud coniuga infrastrutture ottimizzate per l’Ia, modelli proprietari quali Gemini o di terze parti, e una piattaforma di sviluppo che anche senza scrivere codici permette di creare agenti Ia. Che, parlando di prospettive future, sono il “mattone applicativo” per portare l’Ia nella vita quotidiana».

Possiamo fare un esempio?
«Un esempio concreto lo troviamo in Google Agentspace, la piattaforma che permette alle aziende di fornire ai dipendenti agenti Ia specializzati come deep research agent: un agente di ricerca approfondita che con un singolo comando esplora un argomento complesso, sintetizza da fonti diverse sia interne che esterne all’azienda, per generare un report completo. La sua intelligenza sta nel trovare dati, comprenderli e correlarli, trasformando l’informazione in conoscenza utile».

Tutta questa automazione richiederà sistemi di protezione avanzati?
«Certamente. La sicurezza è nel Dna dell’azienda che nel 2017, in una visione del nostro Ceo Sundar Pichai, puntava a diventare “AI-first company”. Nel 2018 abbiamo presentato i nostri principi etici sull’intelligenza artificiale: immagina una sorta di guardrail che guida lo sviluppo dell’Ia nel rispetto dell’uomo. Il grounding e l’affidabilità operativa sono elementi centrali, così come la capacità di ridurre le “allucinazioni” dei modelli. Tutto questo contribuisce a costruire tecnologie Ia sicure e rispettose dell’utente».

Bisogna quindi lavorare anche sulla consapevolezza dell’utente?
«Serve sviluppare fiducia e consapevolezza ed è fondamentale che le tecnologie siano proposte in modo responsabile. Abbiamo commissionato a Ipsos una nuova indagine a livello mondiale che rivela come la percezione nei confronti dell’intelligenza artificiale tenda a migliorare come conseguenza diretta di un maggiore utilizzo. Lo studio “La nostra vita con l’Ai: dall’innovazione all’applicazione”, ha preso in esame l’opinione di 21 mila persone in 21 Paesi, fra cui l’Italia. Il 43 per cento degli italiani ha provato almeno uno strumento di Ia generativa nell’ultimo anno, e c’è grande ottimismo sulle sue applicazioni in ambito scientifico e medico».

Parlando di aziende, quali sono le principali sfide e opportunità che devono affrontare, in questa trasformazione continua?
«Le aziende devono cogliere l’opportunità. Adottando l’Ia generativa su larga scala, il Pil italiano potrebbe crescere di 150-170 miliardi di euro all’anno in dieci anni, pari a un incremento dell’8 per cento. Ma un ritardo di soli cinque anni nell’adozione dell’Ia ridurrebbe al solo 2 per cento l’impatto economico, con una perdita stimata di circa 6 punti percentuali. La spinta è determinata dall’aumento nella produttività della maggior parte dei lavoratori, come emerge dallo studio condotto da Implementing Consulting Group per Google. La facilità d’uso delle nuove tecnologie rende possibile lo sviluppo di soluzioni anche senza competenze tecniche avanzate. Ma è necessaria una “competenza di dominio”: chi guida l’innovazione in azienda deve avere conoscenza profonda del proprio settore di riferimento per poter implementare l’Ia in maniera strategica».

La sovranità del cloud è un tema sempre più centrale, specialmente rispetto alla Pa.
«Ci sono delle soluzioni specifiche, declinate su tre livelli: sovranità del dato, operatività e software. Abbiamo introdotto il concetto di “data boundary” con localizzazione del dato e gestione autonoma delle chiavi di crittografia da parte del cliente. Google Distributed Cloud Hosted, in particolare, può funzionare anche in modalità disconnessa, soluzione che si rivela molto utile in scenari geopolitici critici. Inoltre, abbiamo ottenuto la qualifica di livello 2 dell’Agenzia per la cybersicurezza nazionale».

Guardiamo alle competenze. Sembra si stia delineando un approccio europeo più olistico rispetto a quello americano più specialistico. Perché?
«Gestisco un team di ingegneri e credo servano entrambe le visioni. L’approccio olistico aiuta ad avere una visione ampia, a comprendere i contesti. Quello specialistico, invece, è essenziale per risolvere problemi complessi in modo preciso. Adottiamo un approccio “T-shaped”: una base di conoscenze ampia e una specializzazione profonda in almeno un’area. Questa combinazione è utile anche per istruire gli agenti e definire soluzioni sostenibili. Sto anche preparando una presentazione per discutere il tema con colleghi europei e africani: le competenze diverse portano a risultati migliori».

Chiudiamo con un’astrazione filosofica. Immaginiamo il futuro dell’innovazione che corre veloce. Come dobbiamo prepararci per affrontarlo?
«Credo che l’intelligenza artificiale possa accompagnare l’uomo verso una crescita positiva. Come tutte le grandi innovazioni, ha il potenziale per migliorare la qualità della vita. Mi piace segnalare un’intervista del nostro Ceo, Sundar Pichai, in cui racconta come l’uso del cellulare abbia migliorato la qualità di vita della sua famiglia in India. L’Ia può avere un impatto simile. Con una regolamentazione giusta e un’adozione responsabile, sono certo che il futuro sarà migliore. L’Ia può liberare creatività e migliorare le esperienze quotidiane. Ma serve anche senso critico: il giudizio umano resterà fondamentale. Le nuove generazioni non devono lasciarsi andare alla pigrizia, bensì usare queste tecnologie per diventare ancora più curiose e competenti».

Colloquio con Paolo Spreafico a cura di Mariapia Ebreo