L'urgenza dimenticata del rimboschimento

Conseguenze dell'erosione

Unico elemento naturale oggetto di svariate leggi, sono i boschi e le foreste: ad essi presiede la direzione dell’economia montana e delle foreste del ministero dell’Agricoltura, il cui scopo prevalente tuttavia è, assai più che la tutela naturalistica, lo sfruttamento di boschi e foreste a scopi produttivi ed economici. Tutto o quasi è stato detto sulla funzione dei boschi per quanto riguarda consolidamento del suolo, contenimento delle precipitazioni atmosferiche, regolazione dei corsi d’acqua, eccetera; giova invece riportare alcuni dati sulle conseguenze dell’erosione, dovuta principalmente all’assenza di un sufficiente manto forestale o al disboscamento avvenuto in passato.

Alcuni studiosi calcolano che il Po riversa nell’Adriatico ogni anno 380 milioni di quintali di terra. Il professor Mario Pavan dell’università di Pavia scrive che cinque milioni di ettari di territorio soprattutto appenninico siano preda o sotto minaccia dell’erosione: l’Arno convoglierebbe al mare ogni anno ventisei milioni di quintali di terra. Altri calcola che le acque selvagge (non trattenute cioè dalla vegetazione) trasportino al mare da 3.500 a4.000 metri cubi di materiale solido per chilometro quadrato di bacino imbrifero, pari a circa un miliardo di metri cubi di terra fertile, equivalente alla perdita di produzione su circa 300.000 ettari, con un danno che può essere valutato in 250-300 miliardi di lire all’anno. È una situazione che interessa particolarmente la montagna appenninica ligure-tosco-emiliana, quella meridionale e l’interno della Sicilia: si pensa che occorreranno trecento anni di lavoro per riportare l’Italia a condizioni forestali di equilibrio. Polesine, Sicilia, Calabria, penisola sorrentina, Arno, Ombrone: abbiamo ripetutamente chiesto se sia stata mai fatta una carta delle alluvioni e una carta dei disboscamenti o dei mancati rimboschimenti, e se sia in corso uno studio dettagliato basato sulla loro sovrapposizione; ci è stato detto che studi del genere non esistono, nè, pare, si vogliono fare: con il che, ci pare, si perde un’occasione per imparare dagli eventi e predisporre piani organici per l’avvenire, per le necessarie opere e per arricchire l’estensione delle zone a bosco.

Il piano dei piani

Come si sa i boschi coprono in Italia una superficie di oltre sei milioni di ettari, pari al 21 per cento della superficie agrario-forestale; più della metà è però composta da cedui degradati e quindi di scarsa consistenza forestale: una prospettiva al rimboschimento su larga scala è rappresentata dai quattro milioni di ettari abbandonati in seguito all’esodo rurale. Quanto alla proprietà dei boschi, solo poco più di 400.000 ettari (poco più del cinque per cento totale) appartengono al demanio dello Stato, e sono amministrati dall’Azienda di Stato per le foreste demaniali: due milioni di ettari sono proprietà di enti e comuni, tre milioni e mezzo di proprietà privata. Anche qui siamo alla coda delle nazioni civili: le foreste di proprietà statale in Francia sono il 15 per cento dell’intera superficie a bosco, negli Stati Uniti il 22 per cento, nella Germania federale e in Giappone addirittura il 30 per cento. La scarsa dotazione di foreste demaniali nel nostro paese deriva in gran parte dalle assurde alienazioni operate dopo l’Unità, a scapito del ricchissimo patrimonio ereditato dai vecchi Stati (soprattutto le foreste ex asburgiche del Veneto) e dalle congregazioni religiose. Valgano due soli esempi: l’alienazione di oltre un milione di ettari in base alla legge forestale del 1877, e la distruzione, sempre per favorire il profitto dei privati, dei boschi della Sardegna, che cent’anni fa aveva più di un milione di ettari di bosco e oggi ne ha appena 300.000. Lentamente, e con ritmo più accelerato negli ultimi decenni, l’amministrazione forestale ha provveduto a opere di rimboschimento: tra il 1948 e il 1952sono stati rimboschiti circa 400.000 ettari, con un incremento effettivo della superficie a bosco del 4,7 per cento. Tuttavia siamo alla retroguardia dei paesi europei. Di che entità debba essere il rimboschimento nei prossimi anni in Italia, lo ha dichiarato ufficialmente il direttore generale delle Foreste, Antonio Pizzigallo. Occorre rimboschire 60.000 ettari l’anno, con una spesa di 30 miliardi all’anno: in totale 1.500 miliardi da spendere in 50 anni. Con ciò si rimboschirebbero i tre milioni di ettari di terreni abbandonati dall’agricoltura, destinando il resto al miglioramento dei pascoli.

l rimboschimento sarebbe insufficiente se non si provvedesse contemporaneamente alla sistemazione dei torrenti nei territori montani: per questo si dovrebbero impiegare 20 miliardi l’anno (mille miliardi in cinquant’anni), e si avrebbe così un totale di 2.500 miliardi per il prossimo mezzo secolo, con cui sanare il dissesto idrogeologico della nostra montagna. C’è da chiedersi in che cosa sono stati impiegati in questi ultimi dodici anni quei circa duecento miliardi che il piano dei fiumi del 1952 prevedeva a carico del ministero Agricoltura e Foreste per opere idraulico-forestali: pare che per il rimboschimento siano stati impiegati sei miliardi. E gli altri, a quali opere hanno servito? È uno dei tanti misteri, in questi tempi calamitosi, in cui spesso si fanno opere pubbliche per scopi che poco hanno a che fare con l’interesse generale; e non solo per le cattive disposizioni degli uomini, ma per la mancanza di quella pianificazione organica e globale, che coordini e superi gli infiniti “piani” di settore, e che finalmente decida razionalmente cosa fare del territorio nazionale: quel “piano dei piani” in cui anche il rimboschimento deve rientrare, affinché pianificazione e conservazione della natura si integrino e si identifichino.