Energia dagli scarti ma quanti intralci

Il biometano è l’energia del futuro che nasce dai rifiuti del presente. Bisogna però sapere progettare gli impianti che lo producono per raggiungere un equilibrio tra costi e redditività. Alberto Vicentini, titolare della veneta Tonello Energie, spiega come funziona questo mercato che vale miliardi ma che deve fare i conti con una burocrazia che spesso rallenta l’innovazione.

Una recente indagine ha rivelato che l’opinione pubblica italiana accetta di più una raffineria che un impianto di biometano, anche se non si ha memoria di alcun incidente nel mondo legato a questa produzione.

Lo trova razionale?
«Probabilmente questa percezione nasce da una scarsa conoscenza del biometano. Le raffinerie sono viste come grandi fonti occupazionali, mentre gli impianti di biometano, pur generando un indotto, hanno un impatto occupazionale meno evidente. Questo influisce anche sul piano politico. Eppure, dal punto di vista ambientale, il biometano è una soluzione virtuosa e sicura. È quindi fondamentale informare meglio l’opinione pubblica per evitare timori infondati che possano ostacolare lo sviluppo di questi impianti».

Voi di Tonello Energie non aspettate che gli imprenditori vi chiamino, ma proponete direttamente progetti nuovi. Che reazioni registrate?
«Sì, perché vogliamo essere partner dei nostri clienti. Non limitarci a dare loro una visione dell’impianto fine a sé stessa, ma fare in modo che l’iniziativa abbia successo. Individuiamo le aree idonee, capiamo le problematiche, proponiamo soluzioni. Sono sempre stato convinto che il successo di ogni singola iniziativa diventa successo anche dell’azienda che l’ha proposta».

Sostenibilità e redditività possono convivere?
«Assolutamente sì. Possono andare di pari passo se si approcciano i progetti con una visione più ampia. Bisogna creare valore. Questo è il segreto ed è anche la sfida del futuro di questo settore: creare valore, creare sinergie, trasformare quello che oggi può essere un problema in un’opportunità».

Com’è cambiato il settore rispetto ai primi anni 2010?
«Si è ampliata la platea degli interessati. Oltre ai fondi di investimento e ai settori agricoli, ci sono molti produttori che operano nella produzione di biocarburanti e nella vendita del gas, come Eni e Snam, aziende che hanno un forte interesse ad aumentare la loro capacità di prodotti green. Sono diventati attori importanti mentre prima erano fuori da questo sistema».

Non tutti i territori sono uguali. Come si fa a capire dove conviene investire e dove no?
«Le aree sono tantissime: contesti agricoli virtuosi, zone di allevamenti intensivi, aree vicino a poli industriali con forti scarti. Dalla Campania con i liquami delle bufale, alla Sicilia con gli scarti delle arance. Il segreto però è farlo in un contesto in cui il raggio d’azione per l’approvvigionamento della materia prima non sia troppo grande. Il progetto deve reggersi in un’area inferiore ai 50 km, perché diversamente diventa poco virtuoso».

Possiamo parlare di “chilometro zero”?
«È fondamentale. Oggi viene premiato l’utilizzo di sottoprodotti locali, per non trasportare materie prime per centinaia di chilometri. È un contesto che valorizza un territorio e incide positivamente su di esso».

Come si colloca l’Italia nel panorama europeo?
«L’Italia è un Paese straordinario che ha le potenzialità per fare tutto e anche meglio degli altri. Siamo sicuramente uno dei Paesi più evoluti in Europa su queste tecnologie insieme alla Germania. La Spagna sta iniziando adesso, la Polonia è partita da poco. Però noi ci complichiamo un po’ la vita».

In che senso vi complicate la vita?
«Con il tema autorizzativo e con le leggi che regolano gli incentivi. Il quadro normativo non è semplice da gestire. È un po’ il nostro tallone d’Achille. Tutti parlano di burocrazia, ma credo nasca dalla necessità di confinare economicamente in maniera chiara questi incentivi, per evitare abusi».

Quindi la complessità burocratica ha una sua logica?
«Sì, nasce dalla paura che gli incentivi possano essere troppo alti o troppo bassi. Il problema sono le tempistiche. L’effetto significativo dell’ultimo Decreto Biometano è partito quest’anno, doveva partire due anni fa e finirà nel 2026. Quello che ci manca è una tempistica congrua e una direzione chiara. Non c’è una visione coincidente tra Regioni e Stato; ci sono politiche diverse che frammentano e creano problemi».

Vi capita di fare da mediatori tra i clienti e la burocrazia?
«Certo, ed è la sfida maggiore. A volte è giusto che intervengano le Belle Arti, se sto facendo un impianto vicino a un’opera di valore storico. Il problema è quando intervengono dove non dovrebbero. Ci sono forti contrasti tra la normativa nazionale e ciò che le Regioni vogliono fare».

Non è un investimento per tutti. Quanto serve per entrare in questo business?
«L’interesse c’è, perché è un investimento che guarda al futuro. Però non è semplice come condurre un impianto fotovoltaico. Qui la gestione fa la differenza. Gestione vuol dire fare impresa. L’imprenditore che vuole fare puro investimento finanziario avrà bisogno di qualcuno che gli crei questa impresa e lavori per migliorarla ogni giorno».

Come riuscite a fare ricerca, essendo una società privata, in un settore dominato da grandi colossi come ENEA o ENI?
«Abbiamo sviluppato bioplastiche da biomasse con Innoven, società del nostro gruppo, e acquisito brevetti per la produzione di idrogeno attraverso processi biologici. Il nostro punto di forza è la rapidità decisionale e l’agilità operativa. A differenza dei grandi enti, che si concentrano su progetti a lungo termine e di natura sperimentale, noi puntiamo sull’applicazione concreta, integrando ricerca, automazione e processi industriali. Siamo in grado di cogliere il potenziale di intuizioni iniziali e trasformarle in soluzioni pronte per il mercato».

Quali sono i settori su cui puntate per il futuro?
«Nella mia testa è sempre stato chiaro che dovevo occuparmi di energia, rifiuti e acqua. Questi tre grandi ambiti sono il futuro. È un settore con enormi spazi di crescita: ogni ambito crea e trasforma nuove opportunità».

Alcuni esperti dicono che presto mancheranno i rifiuti da lavorare, vista la raccolta differenziata sempre più efficiente. È una minaccia per il vostro business?
«Siamo migliorati tantissimo e siamo tra i Paesi più virtuosi nella differenziata. Gli impianti stessi hanno favorito questo miglioramento. Però possiamo crescere ancora molto. È sempre un sistema virtuoso: una cosa richiama l’altra. Gli impianti più tecnologicamente avanzati continueranno a stare sul mercato, altri inizieranno a far fatica. Si ricreerà un equilibrio in cui vince chi è più preparato dal punto di vista tecnologico».

A cura di Giampiero Moncada