Con l’algoritmo ti allungo la vita

La buona notizia è che gli europei vivono più a lungo. La cattiva è che gli europei vivono più a lungo. Quello che un tempo era considerato indicatore di un buon livello di benessere, oggi si presenta come una sfida sociale ed economica che mette in discussione la sostenibilità dei sistemi sanitari e previdenziali. Entro il 2100, circa un terzo della popolazione dell’Unione europea avrà più di 65 anni. L’Italia è da tempo sotto la lente di ingrandimento come osservata speciale, un laboratorio vivente (più o meno) per studiare gli effetti combinati della longevità crescente e dei bassi tassi di natalità. Secondo le proiezioni, gli over 65 saranno il 34,5 per cento della popolazione già nel 2050. Un dato che avrà inevitabili ripercussioni su pensioni, sanità e assistenza sociale. In questo contesto, l’intelligenza artificiale è indicata da molti come una risorsa fondamentale per tenere in piedi il welfare e aiutare la gestione dell’invecchiamento.

Il problema non è solo diventare anziani, ma farlo restando in buona salute. L’esempio da seguire, e da studiare, sulla longevità è la Sardegna. Partendo dalla mappatura dei centenari nell’isola, Nuraxi, azienda sarda specializzata in intelligenza artificiale, sta sviluppando un sistema di algoritmi predittivi e percorsi personalizzati per identificare i fattori che favoriscono un invecchiamento sano. Ma trasformare l’osservazione scientifica in soluzioni concrete non è sempre facile. «Nell’immaginario collettivo, l’intelligenza artificiale in medicina sembra già una realtà diffusa. In realtà, siamo ancora all’inizio», spiega il dottor Francesco Giuliani, responsabile dell’Unità Innovazione e Ricerca dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia. È uno dei centri italiani più attivi nell’uso di tecnologie intelligenti in ambito sanitario. «Le sperimentazioni sono molte», continua, «ma i dispositivi effettivamente disponibili sul mercato sono pochissimi». Oltre agli ostacoli tecnologici, ci sono quelli normativi: per essere utilizzata in ambito sanitario, un’applicazione dell’Ia deve ottenere la certificazione come dispositivo medico secondo il regolamento europeo Mdr. Per Giuliani, si tratta di un iter complesso, costoso e lungo. Spesso così lungo da rendere obsoleta l’innovazione prima ancora che arrivi sul mercato.

Non mancano le difficoltà, ma il potenziale è troppo alto perché non fiocchino iniziative promettenti. Tra i progetti sviluppati o supportati dalla sua unità, Giuliani cita M.A.R.I.O., un robot assistivo pensato per interagire con gli anziani e supportare la stimolazione cognitiva tramite la conversazione. Già nel 2014 il sistema integrava componenti di Ia per comprendere i comandi vocali dell’utente e proporre versioni automatizzate di test cognitivi. Il dialogo continuo con sistemi di linguaggio può aiutare a tenere allenate le funzioni cognitive dei pazienti.

Con l’avanzare dell’età, la capacità di mantenere una buona riserva cognitiva diventa essenziale, soprattutto per le persone fragili o con livelli di scolarizzazione limitati. In questi casi, strumenti digitali capaci di stimolare la memoria, l’attenzione e il linguaggio possono fare la differenza. Ma è importante che queste interlocuzioni siano guidate da esseri umani: «Ci stiamo avvicinando a soluzioni efficaci per la stimolazione cognitiva, ma siamo lontani da robot assistenti davvero intelligenti. Manca ancora un’Ia capace di comprendere il contesto e agire con vero buon senso». Più di recente, l’unità ha partecipato al progetto europeo Gatekeeper, dove l’Ia viene impiegata per monitorare parametri clinici attraverso dispositivi indossabili come smartwatch. «È un progetto strettamente legato all’aumento dell’età media. Il diabete, ad esempio, è una delle comorbidità più tipiche dell’età anziana, perché comporta una disregolazione della funzione metabolica dovuta all’invecchiamento».

Un altro ambito di frontiera è la comunicazione medico-paziente. L’istituto di San Giovanni Rotondo sta sperimentando l’uso di modelli linguistici generativi, come ChatGpt, per suggerire ai medici strategie comunicative personalizzate in base al profilo psicologico ed emotivo del paziente. Sembra controintuitivo, ma usare le macchine per aggiungere un tocco di umanità potrebbe funzionare: «Sorprendentemente, questi sistemi, addestrati con tutto quello che è stato detto dai medici ai pazienti su internet, vengono spesso percepiti come più empatici degli stessi medici», osserva Giuliani.

Certo, restano da vincere gli scetticismi. «Sarà cruciale approcciarsi in modo critico, aperto e senza pregiudizi», precisa Giuliani. L’adozione di queste tecnologie, soprattutto da parte dei pazienti più anziani, non è affatto scontata, ma non è neanche un ostacolo insormontabile: «L’età può essere un fattore, ma benché la vecchiaia venga associata a una certa diffidenza, le sperimentazioni realizzate dall’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza raccontano una storia diversa. L’accoglienza è stata molto positiva. Parecchi pazienti anziani vedono questi strumenti come una forma di attenzione, un gesto di cura nei loro confronti, più che un’invasione della privacy».

La domanda cresce. L’urgenza pure. L’intelligenza artificiale non è una panacea, ma può essere un aiuto importante nella gestione dell’invecchiamento della popolazione. Non proprio una bacchetta magica, ma di certo un solido bastone per la nostra vecchiaia.

A cura di Gennaro Tortorelli