

Caldo, in estate, s’è sempre avuto. Anche più di quest'anno. Ma di vedere i ghiacciai fondere e cader giù, com'è avvenuto sul Monviso il 6 luglio, non era mai capitato. E le alghe poi hanno battuto tutti i record. Per la prima volta, il mese scorso, hanno fatto scattare l’emergenza addirittura all’inizio della stagione balneare. I biologi marini hanno spiegato che non si tratta delle “solite” alghe e che la loro proliferazione dipende solo in parte dall’inquinamento del mare: la causa scatenante, infatti, sarebbe proprio l’aumento della temperatura.
Dalle Alpi al Mediterraneo gli scienziati puntano il dito verso il cielo, chiamano in causa “l’effetto serra”, imputano l’ipotetico stravolgimento del clima alla coltre di anidride carbonica che soffoca l’atmosfera e trattiene sulla Terra il calore solare. «È un’ipotesi che in tutto il mondo si sta prendendo seriamente in considerazione», ha affermato Richard Wollenweider, il biologo canadese che studia per conto della regione Emilia Romagna il fenomeno dell’eutrofizzazione. E il professor Augusto Biancotti, segretario del comitato glaciologico italiano, ha aggiunto: «In Piemonte i ghiacciai sono prossimi all’esaurimento. Con l’eccezione del Monte Bianco, la situazione negli ultimi due anni è diventata davvero preoccupante».
Anche in questo caso la responsabilità viene addossata al cambiamento del clima. Come già in Antartide, due anni fa, quando per la prima volta da tempi immemorabili il Mare di Ross non rimase intrappolato dai ghiacci. E come avvenne ancora l’estate scorsa negli Stati Uniti, afflitti da una siccità che mise in ginocchio l’agricoltura di tutto il Mid-West. Da quel momento l’effetto serra non fu più visto come una congettura degli ambientalisti e diventò un argomento di pubblica discussione.
La prima conferma scientifica del riscaldamento della Terra è venuta da un gruppo di ricercatori dell’università britannica di East Anglia guidati dal climatologo Tom Wigley. Confrontando tutti i dati noti sulla temperatura dei diversi punti del pianeta, Wigley è giunto alla conclusione che nell’ultimo secolo il termometro ha registrato in media un innalzamento di circa un grado centigrado e mezzo.
Uno dei maggiori esperti italiani dei problemi dell’atmosfera, il fisico Guido Visconti, dell’università dell’Aquila, è però scettico sulle conclusioni di quella ricerca: «Molti studiosi temono che non sia stato tenuto nel debito conto l’effetto “isole di calore” delle città, dove in genere viene misurata la temperatura», spiega. Ma subito aggiunge: «Ciò non toglie che sicuramente l’effetto serra si manifesterà nei prossimi anni e che potrà avere conseguenze catastrofiche. È bene correre ai ripari prima che sia troppo tardi».
L’allarme più autorevole, e anche il più drammatico, è stato lanciato nel luglio scorso da James Hansen, direttore del Goddard Institute for Space Studies, un centro della Nasa. Per lo scienziato americano la siccità della scorsa estate, con ogni probabilità, è stata provocata dai mutamenti climatici indotti dall’effetto serra. Ma, ha sostenuto, il peggio deve ancora avvenire.
Le previsioni delineate dai computer, sulla base di complesse elaborazioni matematiche dei fenomeni meteorologici, indicano per i prossimi anni un aumento della siccità in tutti i territori posti alle medie e basse latitudini, dove vive la maggior parte della popolazione mondiale. Altre aree, al contrario, verranno bersagliate da piogge torrenziali che renderanno assai frequenti le inondazioni. L’innalzamento della temperatura provocherà inoltre un aumento dei temporali catastrofici e dei cicloni tropicali. Un disastro, insomma, che ha spinto il professor Hansen ad auspicare pubblicamente la riduzione dei gas responsabili dell’effetto serra.
Imputata principale per l’effetto serra è l’anidride carbonica (o biossido di carbonio), un gas prodotto soprattutto dalla combustione di petrolio e carbone. La sola Europa, ogni anno, ne riversa nell’atmosfera 800 milioni di tonnellate, poco meno di un sesto del totale di tutti i Paesi del mondo. Altri 1.600 milioni di tonnellate provengono dalla distruzione della foresta tropicale. Di questo passo, fra 20 anni, le emissioni di anidride carbonica avranno superato abbondantemente i dieci miliardi di tonnellate annue. Gli scarichi dei 400 milioni di automobili attualmente in circolazione nel mondo contribuiscono all’effetto serra con circa mezzo miliardo di tonnellate di anidride carbonica l’anno. Il problema principale, però, rimane l’uso del carbone per la produzione di energia elettrica. Questo combustibile, che è di gran lunga il più diffuso sul pianeta e anche quello più utilizzato dai Paesi del blocco comunista, Cina in testa, ha il difetto di produrre il doppio di anidride carbonica del gas naturale. Inoltre, le centrali tradizionali hanno un’efficienza molto inferiore delle turbine a gas dell’ultima generazione. Ma non sarà facile impedire ora ai Paesi in via di sviluppo di utilizzare il carbone, dopo che per decenni è stato il combustibile più utilizzato dall’industria occidentale.
La concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera continuerà perciò a crescere. Già oggi gli studi condotti sull’aria imprigionata nei ghiacci polari hanno dimostrato che il tasso di biossido di carbonio è aumentato del 25 per cento rispetto al Settecento: dalle 280 parti per milione che era nel ’700 è passato alle attuali 350, il valore più alto degli ultimi 130 mila anni.
L’anidride carbonica è però responsabile solo per metà dell’effetto serra. Un altro 50 per cento delle colpe va invece diviso fra altri tre gas: il metano, l’ossido di azoto (proviene soprattutto dalle attività agricole) e i clorofluorocarburi, o Cfc, più noti come i killer dell’ozono. Questi ultimi hanno una straordinaria capacità di intrappolare il calore (diecimila volte più dell’anidride carbonica). Ma, benché la loro concentrazione nell’atmosfera continui a crescere del cinque per cento l’anno, eliminarli sarebbe semplice.
Infatti sono prodotti solo per via industriale e in molti casi sono già stati trovati dei loro sostituti. Un accordo firmato a Montreal nel 1987 da 84 Paesi ha decretato una riduzione del 50 per cento dell’uso dei Cfc entro il 1998. Inoltre, è già stata convocata a Londra per il prossimo anno una conferenza in cui verrà proposta la totale eliminazione dei clorofluorocarburi entro il Duemila.
L’ossido di azoto non preoccupa granché. Il suo contributo all’effetto serra è assai modesto (appena un sedicesimo del totale) e oltretutto le emissioni di questo gas aumentano appena dello 0,25 per cento l’anno.
Un vero problema è invece rappresentato dal metano. La sua concentrazione nell’atmosfera cresce rapidamente e solo una parte modesta, il 20 per cento circa, deriva da attività umane. Il resto proviene dai batteri delle risaie, dalle emissioni delle mandrie di bovini e dalle termiti. Un chimico tedesco, Dieter Ehhalt, ha provato a fare il conto di quanto metano viene liberato ogni anno dai 1.300 milioni di vacche che pascolano per il pianeta. La risposta è impressionante: cento milioni di tonnellate, quanto basta per bruciare tutta la Terra.
Ralph Cicerone, del National Center for Atmospheric Research, che ha sede nel Colorado, prevede che in 50 anni il metano diventerà il principale responsabile dell’effetto serra. Sfoderando per l’occasione uno humour poco britannico, il settimanale “New Scientist” ha lanciato il nuovo allarme con una copertina in cui sono raffigurati due ridicoli ambientalisti che si turano il naso per proteggersi dalle mefitiche emissioni di una mandria al pascolo.
Insomma, più si studia il problema del surriscaldamento del globo e più si rafforzano i timori, ma crescono anche le incertezze. Comunque, nonostante i dubbi ancora espressi da alcuni scienziati, l’effetto serra ha provocato quantomeno un’inaspettata conversione all’ambientalismo di alcuni dei più potenti leader mondiali, come George Bush e François Mitterrand. «E solo per questo andrebbe benedetto», ha commentato l’importante rivista scientifica “Nature”.
Gli effetti più spettacolari della nuova sensibilità internazionale ai problemi dell’atmosfera si sono visti al vertice dei Paesi più industrializzati, che si è tenuto a Parigi in concomitanza con le celebrazioni per la Rivoluzione francese.
Il capitolo più lungo del documento firmato dai Sette è infatti dedicato proprio all’Ambiente: prevede ipotesi di condono del debito per i Paesi in via di sviluppo che decidono di proteggere le proprie foreste e annuncia, tra l’altro, la convocazione di conferenze internazionali per la messa a punto di limiti e scadenze sulle emissioni di anidride carbonica e Cfc. Il primo avvenimento in programma sarà ospitato proprio dall’Italia, il prossimo anno. Si tratta di un forum mondiale sui problemi di diritto internazionale che impediscono fra l’altro la soluzione di questo aspetto della questione ambientale. Uno scoglio – i vincoli nazionali – che andrà eliminato al più presto se non vogliamo che la Terra bruci il suo futuro.
A cura di Carlo Gallucci